martedì 2 giugno 2009

Desert marathon 2002

Durante la gara anche un incontro imprevedibile con il ciclista cagliaritano Vittorio Serra
Di corsa sulla sabbia africana
Un atleta di Macomer alla 'Desert Marathon”

Giovedì 14 marzo 2002
Durante la gara anche un incontro imprevedibile con il ciclista cagliaritano Vittorio Serra
Di corsa sulla sabbia africana
Un atleta di Macomer alla “Desert Marathon” Macomer
Dal monte di Sant’Antonio al deserto dell’Akakus, nel sud della Libia. È la parabola (discendente) percorsa da un giovane macomerese, Pier Paolo Sannia, 26 anni, che per quattro giorni ha smesso i panni di studente universitario e imprenditore e vestito quelli della gazzella. C’era anche lui tra i cinquanta atleti (provenienti da tutte le latitudini) che si sono dati battaglia nella quarta edizione della “Desert Marathon” che ha avuto come incantevole scenario la sabbia rossa, le montagne e le gole della regione africana di Ghat. «Una gara ad orientamento, ad andatura libera e in autosufficienza alimentare», è la definizione per chi pratica sport estremi. «Un’esperienza unica e straordinaria. Da ripetere», chiosa Pierpaolo che ha vissuto quella competizione come un’occasione importante per ingaggiare una dura sfida con se stesso. Le insidie del percorso, il caldo, l’arsura, la difficoltà ad orientarsi in spazi ignoti e lontani dall’esperienza quotidiana, hanno rappresentato gli ostacoli affrontati dall’atleta macomerese.
«La gara (che si è svolta dal 24 al 27 febbraio, ndc.) era suddivisa in quattro tappe, per un totale di 170 chilometri», racconta il maratoneta. Un chilometraggio che le trappole tese dal paesaggio, spesso uguale e privo di punti di riferimento, hanno inevitabilmente incrementato. «La prima tappa prevedeva 42 chilometri. Mi sono perso e ho corso per 48». È proprio nel tentativo di ritrovare la bussola che la sorte ha voluto che le strade di Pierpaolo si incrociassero con quelle percorse in mountain bike dall’altro atleta sardo in gara, Vittorio Serra. «Mi seo perdidu», avrebbe urlato il ciclista cagliaritano, rompendo per un attimo la tensione della competizione. Poi di nuovo, a nord, a sud, alla ricerca disperata del percorso. «Anche il secondo giorno ho percorso tre chilometri in più rispetto al previsto». Ma è stato nella terza tappa che il giovane podista macomerese si è affrancato da ritardi e incidenti di percorso. «Sono scappato in testa, davanti a tutti». Una performance che ha consentito a Pier Paolo, alla sua prima esperienza, di tagliare il traguardo da ventinovesimo. «L’ultima tappa è stata molto impegnativa. Quando solo quindici chilometri mi separavano dal traguardo, sono rimasto senza una goccia d’acqua. Ma ho puntato dritto al finish, cercando di non farmi prendere dal panico ed evitare così che la muscolatura s’irrigidisse».
Ma cosa ha portato Pier Paolo, cresciuto atleticamente a Macomer, nella società Fiamma, a confrontarsi con una prova così difficile? «Pratico l’atletica leggera dall’età di nove anni. Ma negli ultimi tre non riuscivo più a conseguire risultati soddisfacenti. Baravo con me stesso e non mettevo a frutto le mie potenzialità. Per questo ho cercato nuovi stimoli negli sport estremi. Ho fatto 3500 chilometri di allenamento sul Monte di Sant’Antonio per prepararmi alla maratona del deserto». E dopo questa full immersion africana? «Non so. Devo ancora stabilire se il mio futuro agonistico è nell’atletica leggera o piuttosto più vicino agli sport estremi».

Manuela Arca

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